Che cosa sta succedendo tra UE e Cina?
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L'ultimo discorso sullo stato dell'Unione tenuto il 14 settembre da Ursula Von Der Leyen ha dato una svolta definitiva alla direzione europea: Bruxelles si vuole rendere sempre più indipendente, e la battaglia con la Cina sembra si concretizzerà sempre più sull'industria automobilistica.
Lo scorso 14 settembre 2023 Ursula Von Der Leyen, come ogni anno, ha tenuto il discorso sullo Stato dell’Unione. Il suo ultimo discorso, visto che nel 2024 ci saranno le elezioni europee e non è detto che sia ancora lei la presidente della Commissione.
Ma forse anche in vista di un appuntamento molto importante, e particolarmente sentito, ci ha tenuto non solo a ribadire gli obiettivi fissati nel 2019, all’inizio della sua guida all’UE, come il Green Deal. Ma anche a dare una svolta definitiva al progetto di rendere indipendente Bruxelles dal punto di vista energetico e produttivo.
E se gli USA sono fondamentalmente spariti dai discorsi della presidente, a conferma del declino della loro influenza sul continente, sembra essere la Cina, con la sua presenza sempre più invadente, la potenza nel mirino europeo.
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COSA HA DETTO URSULA VON DER LEYEN
Soprattutto dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina, i rapporti tra l’UE e la Cina si sono notevolmente raffreddati, a causa delle posizioni ambigue di Pechino, vicine a quelle della Russia. Ma anche a causa, come detto, della volontà di Bruxelles di eliminare ogni dipendenza, vista come fallimento della globalizzazione e della ramificazione dell’attività produttiva, che oltre ad essersi rivelata dannosa per la produzione stessa soprattutto con la crisi dei semiconduttori, è anche poco sostenibile.
Ma Von Der Leyen ha alla fine deciso di dare ascolto alle pressioni di Italia e, soprattutto, Francia in merito ai timori che l’industria automobilistica cinese potesse costituire un pericolo per quella europea, con l’espansione sempre più evidente dei produttori mandarini in Europa, confermata nuovamente al Salone di Monaco.
Il punto del discorso relativo alla questione parla chiaramente: “Oggi i nostri mercati sono inondati da auto elettriche cinesi economiche. E i loro prezzi sono tenuti artificialmente bassi da enormi sussidi statali. Questo sta distorcendo il nostro mercato, e siccome non accettiamo tale distorsione dall’interno, così non la accettiamo dall’esterno“.
Differentemente da quanto (mal) riportato dalla maggior parte dei media italiani, Von Der Leyen non ha detto che le auto cinesi costano molto poco. Anche perché in Europa, comunque, i prezzi delle vetture elettriche made in China sono comunque più alti che in patria. Ciò a cui Von Der Leyen si riferisce è la loro convenienza, che fa sì che a prezzo pari o leggermente inferiore offrono ciò che i produttori europei propongono a costi più alti, perché privi degli enormi sussidi cinesi.
Secondo la presidente e l’UE, insomma, questo è dumping di stato, un giocare sporco da parte della Cina. E quanto detto si traduce in un’indagine, da parte di Bruxelles, che potrà prolungarsi anche fino a 9 mesi, per verificare che effettivamente ci sia questo dumping statale e agire di conseguenza.
In maniera simile a quanto fatto dagli USA che, nel loro più tradizionale protezionismo, hanno deciso di dare incentivi solo per elettriche prodotte in America.
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NON SENZA CONSEGUENZE
Va da sé che quanto detto da Von Der Leyen produrrà delle conseguenze, a partire dai rapporti tra la Cina e i singoli paesi europei. Come detto, questo nasce per assecondare prima di tutto il “fronte latino”, tradizionalmente più conservativo. E, anzi, vede un netto ridimensionamento della Germania in Europa.
Berlino, già messa in difficoltà dalle sanzioni russe e dalla perdita di fornitura di gas da parte di Mosca, ugualmente pagherà le conseguenze forse anche più di altri. Il “fronte germanico”, infatti, ha da sempre un approccio molto più aperto nei confronti di ingerenze straniere, e negli anni questo si è concretizzato in accordi sempre più stretti tra i produttori di auto tedeschi e quelli cinesi.
Da una parte, Daimler ormai in mano cinese, con Geely che detiene il 10% del gruppo e il 50% del marchio Smart. E poi BMW con Great Wall Motors, con cui ha diviso la produzione della nuova Mini. E Volkswagen, che vede il 40% delle sue vendite globali nel solo mercato cinese, e che per cercare di recuperare terreno in Cina, dove nel 2023 ha perso il suo storico primato di vendite, ha comprato una grande quota dell’azienda cinese Xpeng.
Ma anche l’Italia si trova in una posizione incerta. Se dal lato automobilistico è relativamente tranquilla (FCA non aveva presenza in Cina, e Stellantis ne ha poca), c’è la questione della Nuova Via della Seta, a cui aveva aderito nel 2019 non senza polemiche: il 2023 è l’ultimo anno per uscirne, dato che poi parte il rinnovo automatico. E la nuova via della Seta è, secondo molti analisti, semplicemente un altro modo di Pechino di rafforzare la sua presenza commerciale e industriale in altri mercati.
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LA RISPOSTA CINESE
La risposta cinese, quantomeno quella istituzionale, è arrivata quasi subito. Secondo il ministero del commercio, quello di Bruxelles è “un atto protezionistico nudo e crudo che sconvolgerà e distorcerà seriamente l’industria automobilistica globale e la catena di approvvigionamento, compresa l’UE, e avrà un impatto negativo sulle relazioni economiche e commerciali Cina-UE. La Cina presterà molta attenzione alle tendenze protezionistiche dell’UE e alle azioni di follow-up e salvaguarderà fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle società cinesi“.
Una minaccia non troppo velata che prova a giocare sull’ancora forte ruolo della Cina nella catena di approvvigionamento, soprattutto quella di semiconduttori, nonché di batterie.
Secondo molti dirigenti cinesi, il vantaggio competitivo dei produttori locali non si deve ai sussidi, ma a una maggiore competitività della catena di approvvigionamento, slegata da altri mercati. E questo è vero in parte. Prendiamo BYD, leader mondiale per vendita di veicoli elettrificati: il suo successo si deve proprio perché il suo fondatore Wang Chuanfu ha iniziato producendo batterie per altri, e questo ha portato l’azienda a produrre veicoli con tutte le componenti interne autoprodotte, oltre ad aver puntato su manodopera a basso costo spesso presa dalla campagna circostante.
Ma BYD nasce a Shenzen, una delle Zone Economiche Speciali della Repubblica popolare, il cui governo concede un regime agevolato di investimenti. Che, quindi, sembrano non mancare.
In ogni caso, ad oggi nessuno dei marchi cinesi si è espresso, da Geely alla stessa BYD. Secondo molti media, la mossa europea potrebbe avere gli effetti sperati solo in parte. Per quanto l’indagine potrebbe rallentare l’espansione cinese, più per la fornitura delle batterie che per altro, non costituirebbe un rischio grande, perché i produttori cinesi potrebbero rivolgersi ad altri mercati dove l’elettrico è in forte crescita, come Israele, la Norvegia (da dove i cinesi partono sempre), ma anche l’India e il sud-est asiatico.
Comunque, dalla parte della Cina già prima delle dichiarazioni di Von Der Leyen c’era stato un tentativo di risolvere i rapporti con l’UE. Il 9 settembre, a margine del G20 di Nuova Dheli, Li Qiang, premier cinese, ha esortato l’UE e l’Occidente a fornire un ambiente “non discriminatorio” per le aziende cinesi, appello che, tuttavia, non sembra essere rispettato.
In vista del vertice Cina-UE atteso per la fine dell’anno, Bruxelles sembra intenzionata a ristabilire i rapporti in una via più equilibrata, dato che ora, secondo le istituzione europee, le relazioni sono troppo a favore di Pechino.
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