Come ci convincono a comprare un’auto?
Come si sono evoluti, nel corso del tempo, il marketing e la comunicazione auto. Da sogno a realtà attenta a diritti e ambiente.
In questo articolo
Un paesaggio selvaggio e deserto. Silenzio. In lontananza, il rombo di un motore. In sottofondo, una voce suadente ci invita a “vivere l’avventura”, “superare i limiti” o “non accontentarci”. Arriva un’auto che sembra volare, si ferma e lascia scendere un uomo dalle fattezze da divo, con lo smoking e, al suo fianco, una dea in abito da sera. Un tempo – con qualche piccola differenza qua e là – gli spot automotive erano tutti così. Come le pubblicità dei profumi avevano l’obiettivo di far sognare, di farci credere che, se avessimo comprato quella cosa lì, avremmo avuto accesso a una vita di successi, eleganza e bellezza. L’auto, per molti e per molto tempo, è stata un sogno. Uno status symbol, uno strumento per dimostrare non chi si era ma chi si sperava di essere.
Il sogno si è infranto. Aperto il vaso di Pandora del capitalismo, le nuove generazioni non si lasciano più abbindolare così facilmente (non in questo modo per lo meno). Non possono permettersi i sogni, hanno bisogno di qualcosa di pratico – e ancor di più economico. Non guardano i suggestivi spot televisivi, bisogna catturarle in 15 secondi sui social. Non sognano il glamour ma pretendono attenzione a cause sociali e ambientali.
L’automobile si è evoluta incredibilmente negli ultimi decenni: meccanicamente, esteticamente, tecnologicamente. E, forse ancor di più, è cambiato il modo in cui l’automobile si racconta e si vende. Attenta alle pretese del pubblico di cui sopra, che alla pubblicità non ci crede più, ma ne è bombardato h24.
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Spot auto: da sogno a realtà
Il marketing automotive è di tipo fortemente emozionale. Ma i valori di riferimento sono notevolmente cambiati. Per buona parte degli anni ’80 i concetti cardine erano forza, virilità, grinta e gli aspetti da sottolineare potenza, velocità e prestazioni. E di certo l’auto resta uno strumento di libertà, ma ad oggi la libertà cui maggiormente si punta è quella di poter gestire con sicurezza le esigenze della quotidianità.
Non più oggetto aspirazionale (ed escludiamo qui le vetture di lusso) ma strumento di mobilità, l’auto nelle pubblicità è l’auto di famiglia. La guida la mamma – senza tacchi e abito da sera -, accoglie il seggiolone e ha il bagagliaio pieno di buste della spesa. Si parla allora di comfort, sicurezza, stabilità; di adas, sistemi di sicurezza e assicurazioni.
L’obbligo di trasparenza sui prezzi
E si parla di soldi. La voce di sottofondo non ci invita più a trasgredire, ma ci ricorda che la vettura che stiamo guardando è in sconto, venduta a tasso zero e con un’offerta di finanziamento a buon mercato. Lo storytelling si è trasformato, puntando tutto sulla pragmaticità. E se lo ha fatto è stato anche per aderire alle più recenti normative sul settore.
È stata la Corte di giustizia Europea a confermare, con una sentenza del 2016, i capisaldi in materia di tutela del consumatore. È stato stabilito che l’acquirente ha il diritto a un’informazione chiara e trasparente sul prezzo di vendita fin dalla pubblicità. Il costo indicato deve essere – prima di tutto ben indicato – quello effettivo e totale, comprensivo di IVA, eventuali altre imposte e spese di consegna. Allo stesso modo, i costruttori sono tenuti a indicare esplicitamente se il prezzo segnalato è valido, ad esempio, solo in caso di finanziamento o meno.
Gli effetti dell’elettrificazione nella pubblicità
L’elettrificazione è il più grande cambiamento, una vera e proprio rivoluzione, subita dall’industria automotive nell’ultimo decennio. E il passaggio ai motori elettrici non poteva di certo non avere effetti anche sulla pubblicità auto. Come si pubblicizza un EV? Bisogna in questo caso distinguere due momenti distinti. C’è stato un tempo – non così remoto – in cui le auto elettriche era un oggetto di nicchia. Qualcosa di dedicato esclusivamente agli ambientalisti più spinti e danarosi. Erano i tipi come Leonardo Di Caprio e nessun altro a guidare elettrico. Così, gli spot tornarono ad essere elitari ed epici come quelli degli anni ’80, ma con l’ecologia al posto del glamour.
Oggi che, volenti o nolenti (così come imposto dall’Ue a partire dal 2035) le auto elettriche bisognerà guidarle tutti necessariamente, la pubblicità ha cambiato registro. Inizialmente gli spot hanno assunto il compito di educare l’acquirente, sostituendo il tradizionale storytelling emozionale a una narrazione più didascalica: l’EV funziona così, ci puoi fare questo e quell’altro. Attualmente, con una conoscenza sempre più diffusa della nuova tecnologia ma un’ancor forte ritrosia da parte dei clienti, le case auto puntano a sottolineare i piaceri regalati da un’auto elettrica. Non solo non inquina sembrano sottolineare, ma guarda anche com’è bella, silenziosa e così via.
Una pubblicità più inclusiva
Secondo un recente Report Digital – Global Digital Overview di We are social, il 49% degli under 35 dichiara di aver smesso di acquistare prodotti se i valori trasmessi dalle aziende produttrici non sono in linea con i propri. Specularmente, il 70% degli appartenenti alla Generazione Z dimostra maggiore fiducia verso quei brand che nella loro pubblicità rappresentano un pubblico più ampio. Mettere al volante di un’auto soltanto uomini o donne esteticamente perfetti e famiglie in stile Mulino Bianco non funziona più.
Gli acquirenti vogliono vedersi rappresentati sullo schermo o, in ogni caso, desiderano che le aziende si facciano promotrici di inclusività. Ci si attende che gli spot includano personaggi di etnie, orientamenti sessuali e aspetti differenti. E, parallelamente, ci si aspetta parità di trattamento. Con il diffondersi del femvertising – l’avvento nel mondo del marketing del femminismo della quarta ondata, che utilizza i mezzi di comunicazione digitali per veicoli valori femministi – si ha assunto uno sguardo critico nei confronti dell’imperante sessismo della pubblicità.
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I social media
Se l’elettrificazione è la più grande novità del settore automotive, l’avvento dei social media lo è nel campo della comunicazione. Al punto che è quasi superfluo, ormai, parlare di spot televisivi o jingle radiofonici. La vera pubblicità, quella più capillare e fruttuosa, è quella dei social. È lì che sono tutti, è lì che tutti – qualsiasi sia la loro età – si informano quando intenzionati ad acquistare un’auto nuova.
Il report Marketing sui social media del settore automobilistico 2024 di Driftrock conferma che il 27% delle persone scopre nuovi brand automobilistici sui social. Il 71% degli acquirenti utilizza i social per trovare informazioni sui diversi modelli e, per il 21% del campione, le recensioni sui social hanno influenzato significativamente la scelta d’acquisto.
È interessante a tal proposito riportare il caso del Lieger Store – brand di microcar – di Doesburg, piccola cittadina dei Paesi Bassi. Si tratta di un mercato di nicchia e di un’attività giovane che, tuttavia, in meno di un anno è riuscita a posizionarsi al secondo posto nella classifica delle concessionarie con il maggior numero di vendite a livello nazionale. Come? Con un investimento per il 98% su marketing digitale. Il negozio è a dir poco spartano, senza neppure un’insegna. Ma il sito web è ispirato a quello di Tesla e i canali social – tutti quanti – sono attivissimi e in linea con le ultime tendenze. Con piani editoriali diversi da piattaforma a piattaforma, plasmati sui gusti dei diversi target di utenza.
L’influencer marketing
Così, la pubblicità, anche quella auto, si è spostata sui social e ne ha assunto il linguaggio specifico. Su Instagram, le case pubblicano video e foto che mettano in risalto la bellezza dei propri prodotti. Su TikTok li racconto con balletti, gag e siparietti virali. Magari affidati agli influencer, che stanno pian piano sostituendo divi del cinema e atleti nel ruolo di testimonial. E si apre qui l’ultimo capitolo, il più recente, per quel che riguarda il settore pubblicitario: l’influencer marketing. Si tratta di un mercato che, riporta il report Influencer Advertising: market data & analysis di Statista, vale nel 2023 30,81 miliardi di dollari a livello globale, e arrivare a superare i 50 milioni entro il 2028.
Gli influencer offrono il vantaggio di avere un pubblico già altamente fidelizzato e di essere in grado di creare contenuti appositi tanto per il brand quanto per il target di riferimento. Il costo dei big influencer non è irrilevante per un’azienda, ma resta inferiore a quello medio richiesto da una campagna pubblicitaria televisiva. Così come riportato nella seguente tabella:
Ma se i costi sono relativamente ridotti, l’influencer marketing presenta alcune variabili incontrollabili. Mentre una classica campagna pubblicitaria rientra sotto il pieno contro dell’azienda che la promuove, è impossibile controllare (o anche solo prevedere) il grado di gradimento di un influencer. Personaggi sovraesposti e perennemente a rischio di strafalcione e conseguente gogna mediatica. Considerata, come visto nei paragrafi precedenti, l’attenzione degli acquirenti verso i valori di un’azienda, si corre il rischio di vedere il proprio brand associato a un nome trasformatosi in simbolo di scorrettezza, per qualsivoglia motivo. Un nuovo mondo complesso, dagli equilibri instabili, ma da cui nessun brand e nessun settore può oggi permettersi di restar fuori.
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