Le nostre strade sono uguali a quelle del 19° secolo
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Nella storia dell'auto c'è stato un momento in cui il motore a scoppio ha salvato l'ambiente urbano, lo stesso che oggi sta inquinando.
In questo articolo
Parlando di macchine pulite e innovazione tecnologica, oggi, penseremmo tutti alle auto elettriche – o quanto meno ibride – o magari all’idrogeno. Se invece dicessimo che le macchine pulite e la tecnologia salva-ambiente è il motore a combustione interna? Incredibile, ma vero, negli annali della storia dell’automotive c’è stato un momento in cui le auto che oggi tanto desidereremmo far sparire, per sostituirle con mezzi meno inquinanti, hanno salvato l’ambiente urbano.
Alla fine del XIX secolo, infatti, le strade delle città in rapida industrializzazione erano congestionate da cavalli, ognuno dei quali trainava un carro o una carrozza. Secondo quanto raccontano Steven D. Levitt e Stephen J. Dubner nel loro best seller SuperFreakonomics (il libro più venduto nel 2009 dell’Economist) erano circa 200 mila i cavalli nella sola New York City.
Animali utilissimi, necessari, irrinunciabili ma – c’è un ma – che depositavano una quantità ingestibile di letame in giro per le città. Secondo i due autori circa 35 libbre (quasi 16 chilogrammi) al giorno, per cavallo. Continuate a leggere e scoprirete una perfetta parabola del mondo moderno, dove le auto elettriche combattono con i vecchi mezzi di trasporto.
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Quando il motore a scoppiò salvò le città
Si accumulava in montagnette che “fiancheggiavano le strade cittadine come banchi di neve“. A Rochester, New York, i funzionari sanitari calcolarono che, accumulando i “rifiuti sanitari” dei cavalli della città avrebbero formato una torre della superficie di circa mezzo ettaro (ovvero 4 mila metri quadtrati) e un’altezza di 175 piedi, quasi 54 metri.
Il mondo aveva raggiunto uno sviluppo tale che era impossibile rinunciare ai cavalli, perché erano un mezzo di trasporto veloce e pratico, ma non poteva più convivere con i loto escrementi.
L’automobile, più economica da possedere e da usare rispetto a un veicolo trainato da cavalli, fu – all’epica – una salvezza per l’ambiente. Le città potevano tornare a respirare, finalmente senza tapparsi il naso, riprendendo la loro marcia verso il progresso.
L’auto sta al cavallo come la batteria al motore
Pensate che la transizione dal cavallo all’automobile sia stata immediata, netta e senza problemi? Sbagliato. Ci vollero decenni per eliminare i cavalli nelle città e sostituirli con le auto (anche perché – sembra quasi un deja-vu – costavano troppo). L’automobile come la concepiamo ora, una macchina per il trasporto personale, non sarebbe arrivata prima di quasi mezzo secolo.
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Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo furono i tram a dominare la mobilità. Correvano su rotaie d’acciaio, ma non come oggi: le carrozze erano comunque trainate da cavalli. Man mano sempre più si collegarono all’elettricità.
Le auto non piacevano
In quel contesto, le auto erano considerate pericolose intruse, una minaccia per l’incolumità pubblica e soprattutto per l’incolumità dei bambini. Nel 1923, i residenti di Cincinnati richiesero persino che le auto che circolavano in città fossero modificate in modo che non potessero andare più veloci di 25 miglia all’ora (40 km/h). Le auto intasavano le strade, rallentando il traffico e impedendo ai tram di rispettare i loro orari.
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Perché le auto prendessero piede, dovette cambiare il mondo: nacquero produttori e concessionari, associazioni, gruppi di interesse. Venne fatta informazione, insegnando alle persone come attraversare le strade in sicurezza, normalizzando l’idea che le strade appartenessero alle automobili. E, lo ripetiamo, le auto dovettero diventare economiche, di massa. Non solo. La diffusione delle auto richiese massicci investimenti sulle autostrade.
Cosa dobbiamo imparare
La lezione da imparare? Il progresso non è né lineare né ordinato. Cambiare richiede coinvolgimento, impegno e investimenti.
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